Felicità 
Potremmo stare ore a discutere sulla felicità. La cosa più importante, secondo me, l’ho già scritta nella pagina relativa ai problemi: la felicità è un modo di essere: non c’è nessun motivo per essere felici, nel senso che non c’è nessun motivo per non esserlo. Per cui be’, puoi iniziare subito ad essere felice, dai, non c’è bisogno di un perché! 
 
Quello che forse spesso ci manca è un qualcosa di importante per andare avanti nella vita di tutti i giorni, per decidere cosa fare, quasi per poter “giustificare” il fatto di essere felici, anche se non ci sarebbe bisogno di giustificazioni...  
Be’ secondo questo ragionamento, siccome la nostra vita va avanti come la impostiamo noi, la nostra felicità dipende da noi, e quindi ognuno di noi ha il suo particolare tipo di felicità: non esiste “la felicità”, esiste la tua felicità, la mia felicità, la felicità di ciascuna singola persona che vive nel mondo
 
E questo non è bellissimo? Che soddisfazione ci sarebbe se fosse già tutto definito, già tutto fatto, se ci fosse una “soluzione unica”? Il bello della vita è appunto viverla, correndo magari il rischio di sbagliare! 
 
Se proprio vogliamo scovare un sistema per essere più felici, per diciamo non sentirci “colpevoli” di essere felici (che comunque è un po’ da paranoici), secondo alcuni un modo potrebbe essere aiutare gli altri, insomma la gente che ci circonda, al limite “tutto il mondo”, al limite una sola persona, ad essere più felice. Chi lo sa magari può bastare aiutare una persona sola a prendere coscienza che soddisfatti i bisogni fondamentali, ed assicuratoci che nessuno soffra per colpa nostra, direttamente o indirettamente (e qui ce ne sarebbe già da riflettere...! be’ diciamo nel limite delle ragionevoli possibilità di ogni nostra giornata :o) ), non c’è proprio motivo per non essere felici! 
 
Madre Teresa di Calcutta non conduceva certo una vita di divertimenti e di lusso, eppure è morta a quasi cent’anni senza che nessuno l’abbia mai vista infelice. Ovviamente se prendiamo Madre Teresa come paragone ci sentiremo sempre, scusate il termine, delle merdacce, insomma, credo possiamo sentirci ragionevolmente felici anche se nella nostra vita faremo meno, no? 
 
L’importante secondo me è provarci, è iniziare a prendere le cose con lo spirito giusto. Lo riconosco, è un discorso un po’ scomodo, già sento che mi dite, ma insomma, secondo te l’Aga Khan sul suo Yacht chilometrico circondato da mille ragazze è infelice? Va bene Madre Teresa, ma perché a me non almeno un pezzettino anche di quella felicità là? Invece di stare qui a leggere le tue belle paroline sul PC non mi spiacerebbe insomma ad esempio sì leggere le tue paroline, ma accanto ad una bella gnocca :o). Beh sì, perché no, dico io, mica è vietato, datti da fare! In questo campo non so darti dei consigli anzi semmai forse ne avrei bisogno... :) 
 
Solo non facciamoci fregare, non facciamoci imporre o suggerire dagli altri quali cose dobbiamo fare o pensare per essere felici. Detto per inciso, neanche se il suggeritore è il vostro umile Paperinik...! 
 
Il processo di globalizzazione (che va avanti da molto più tempo di quanto non possiamo immaginare... forse che Cartesio non ha globalizzato quando ha fatto sì che universalmente valesse solo quanto è scientificamente spiegabile e dimostrabile? e Galileo?) sta globalizzando anche la felicità. E, insomma, no, non siamo tutti felici nello stesso modo. Nella storia, il dominio di una certa idea di felicità ha creato tensione, odio e paradossalmente infelicità. E questo si sta ripetendo: i mezzi di comunicazione di massa tendono a proporre un’idea standard di felicità, una felicità in scatola (ad esempio che so io, molti soldi, o fare molto sesso...) che spesso finisce per violentare l’idea di felicità personale, e anche l’idea di felicità propria di altre culture (ad esempio, ultimamente, quelle dei paesi musulmani), scatenando violenza ed incomprensione invece di creare arricchimento. 
 
Non solo. La modernità ci ha portato qualche altro bel regalo. Se qualche secolo fa la felicità era un privilegio di pochi e dopo la Rivoluzione Francese un diritto, oggigiorno la felicità è quasi un dovere, anzi un obbligo. Se non siamo felici, ci vergogniamo, ci odiamo, ci sentiamo in colpa. Rifiutiamo la sofferenza, la morte, la fatica, il sacrificio, come se non fossero altre facce della felicità, come se i momenti più belli della nostra vita non venissero spesso dopo periodi di sacrificio e magari anche dolore. 
 
Eppure la modernità dovrebbe rendere più facile l’essere felici. Stiamo fisicamente bene, abbiamo mille possibilità di divertimento, di socializzazione e comunicazione. Non solo la tecnologia ci aiuta, ma anche il maggior tempo libero a disposizione. Eppure la tentazione di chiuderci in noi non è mai stata così forte: non possiamo vivere senza gli altri ma l’incontro con gli altri ci mette spesso in difficoltà. Persone, visioni della vita e del mondo, culture, religioni. E un senso di individualità esasperante, una cultura o pseudocultura che identifica la felicità con la completa soddisfazione dei capricci individuali, insomma faccio sempre quello che voglio, sempre il mio porco comodo, e allora sono felice, ed ho il diritto di farlo perché ho il diritto di essere felice. Pero’ pero’... che felicità è quella che mette i piedi sui sentimenti, sulla fiducia e sulla felicità degli altri? Un’altra cosa su cui riflettere. 
 
Insomma... dopo questo bel pistolotto... è così difficile essere essere felici? E serve proprio essere felici?  
 
Ma sì, ogni tanto fa bene essere felici con sé stessi, sentirsi bene e un pochino soddisfatti. Ogni tanto serve sentirci a posto con il resto del mondo. Per farlo forse serve comprendere ed accettare sé stessi, serve comprendere ed accettare gli altri, con tutta la dose di pazienza conseguente... Serve capire cosa possiamo fare, cosa è giusto fare per noi e per gli altri. Serve anche capire quando fermarci un po' e non fare proprio niente. 
 
La comprensione totale, be’... è impossibile, e quindi la felicità sta probabilmente nel chiedere un po’ di meno, ed assaporare un po’ più lentamente tutte quelle cose positive che ci succedono ogni giorno. 
Non ne succedono? Dai, non sei esageratamente pessimista? 
E infine, non voglio essere troppo controcorrente, ma... è anche bello ogni tanto essere un po' infelici e malinconici. Mica si può sempre ridere. 
 
 
Ho scritto "infine", ma l'ho scritto mesi o forse anni fa. Nel frattempo ho letto cose molto interessanti, ed ho scoperto che il concetto stesso di felicità è di proprietà del pensiero occidentale, come pure il concetto di meta da raggiungere. Si parte dai filosofi greci ed anche prima, perché in realtà questi concetti sono dai filosofi girati, rigirati e germogliano interessanti riflessioni... ma... il fatto che vengano spiegati con parole, e che esistano già parole che li illustrano imparentano strettamente la nascita del concetto con la nascita della parola che lo descrive, in altre parole si dovrebbe studiare semantica o forse semiotica. 
Ho scritto semantica e semiotica perché fa molto fine... se avessi voluto invece farmi capire, lo avrei spiegato con un esempio: nel cinese antico (in realtà non esiste una sola lingua "cinese" ma sarebbe un lungo discorso) non esistono parole per "felicità" o per "meta", "obiettivo"... In effetti alcuni studiosi spiegano questo con il fatto che i cinesi, più saggi di noi o forse solo più fortunati, hanno schivato fin dal principio (e quindi poi di conseguenza anche nelle opere dei filosofi: Zhuang-zi o Chuang-tzu, Laozi o Tao tê ching, ecc), il concetto di "felicità" e quindi anche quello di "infelicità", che vanno a braccetto, e hanno invece privilegiato il concetto di equilibrio, di nutrire giorno per giorno la propria vita senza eccessi, senza aver bisogno di una meta... Cosa molto bella visto che se ci pensiamo bene permette di essere soddisfatti ogni giorno invece che stare in ansia fino a quando non si raggiungerà la agognata meta.  
 
I concetti felicità / meta infatti hanno parecchi svantaggi. Primo bisogna vedere se la si raggiungerà questa meta. Secondo molte volte una volta raggiunta questa meta la "felicità" finisce presto, e si ha bisogno di un'altra meta. 
In effetti siamo un po' sfortunati ad essere nati occidentali... il pensiero occidentale (o meglio il pensiero nato dalla lingua greca / latina) cerca mete, felicità, seziona e spacca il capello in quattro, il pensiero orientale (o meglio il pensiero nato dalla lingua cinese) dice essenzialmente stai tranquillo, agitati di meno, pensa a quello che stai facendo oggi. In effetti il pensiero orientale più ampio che si riferisce al Tao / Lao-tse trova eccessivo anche Confucio, che aspirando alla "virtù" si pone già una meta e quindi si agita già troppo. Secondo i contestatori di Confucio, nemmeno a dirlo, aspirando "troppo" alla virtù si rischia di non raggiungerla, e, anzi, di fare del danno. 
 
Il che se ci pensiamo ha senso: quante persone fanno o hanno fatto nella storia danni più o meno terribili, partendo da buoni principi e buone intenzioni... Insomma per esempio anche "aiutare gli altri" può essere un gran danno, se non hanno nessuna voglia di essere aiutati. 
 
Scritto questo mi vengono in mente altre riflessioni. I cinesi saranno stati più saggi, o più fortunati? Mi viene quasi il sospetto che il mondo occidentale e la felicità siano addirittura in relazione funzionale. Insomma il fatto che il cinese per migliaia di anni non ha avuto nessuna parola per "felicità" non vi fa pensare seriamente che il concetto occidentale di felicità sia la famosa carota appesa al bastone??? 
Mi sembra abbastanza evidente che il mondo occidentale ha usato come carota per procedere (a tutti i livelli... che sia la carota-mercedes o carota-ferrari o qualsiasi altra carota) il miraggio di  felicità, approfittandone. Eppure la Cina è riuscita a svilupparsi anche senza questo motore (anzi da Marco Polo sappiamo che era persino più avanti), fino alla rivoluzione comunista, che ha introdotto elementi di pensiero occidentale (pensate che si sono dovute trovare nuove parole, il cinese ha conosciuto concetti che non aveva conosciuto per migliaia di anni).  
Dopo tutti questi discorsi, mi sembra evidente che (semplificando) emergono due idee principali che potremmo chiamare orientale e occidentale (a cui si sovrappongono come modelli di virtù rispettivamente il Confucianesimo e Cristianesimo + Islam). Come sono nati? Sono stati influenzati dalle condizioni ambientali? Il modello meta/felicità era forse "necessario" per raggiungere il livello di progresso e benessere attuale che, non si può negare, è stato raggiunto dall'impostazione occidentale? Chi lo sa. Forse l'impostazione orientale avrebbe raggiunto traguardi simili in modo leggermente più lento ma con molto meno stress... o traguardi diversi e magari migliori... dopotutto quello che l'occidente è riuscito ad avere è comodità e benessere: un qualcosa cioè di piacevole ma che spesso non appaga la nostra complessità di uomini. 
Quello che è sicuro è che il modello occidentale è più aggressivo, e tende ad espandersi. Infatti la "rivoluzione cinese" che ha poi portato al partito comunista cinese è stata causata dalle pressioni sulla Cina in arrivo dall'occidente e dal Giappone (quest'ultimo nei primi anni del 1900 voleva in pratica fare della Cina una propria colonia). Questa pressione ha causato condizioni di vita sempre peggiori, rivoluzione, comunismo che però ha portato i nuovi concetti e le nuove parole occidentali, tra cui quello che raccontato in un certo modo è il mito della ricerca della ricerca della felicità... cosa concettualmente molto bella e interessante se si fanno le dovute riflessioni (rileggetevi questa pagina! a me sembra molto interessante... ;-) )... ma cosa anche molto facile da mercificare e da vendere... Be' è curioso e ironico che forse proprio il comunismo abbia fornito ai cinesi la mentalità indispensabile per rincorrere la carota capitalista ;-). 
 
Comunque sia, questo pensiero occidentale ora invade l'oriente... ma l'occidente a volte non è molto soddisfatto... del resto, perché tu stai leggendo qui? E quindi mentre una parte dell'occidente "invade", un'altra si interessa anche al pensiero orientale. 
Cosa succederà quindi? Qual è la risposta a tutti i perché? 
Non so, mi sono interrogato spesso sulla felicità, e ora scopro che milioni di persone per migliaia di anni, non avevano nemmeno una parola per definire questo concetto. 
Mi sentivo un po' una mosca bianca quando qualche tempo fa scrivevo la prima parte di questa pagina e scrivevo che non c’è nessun motivo per essere felici, nel senso che non c’è nessun motivo per non esserlo... che forse è il caso di essere contenti che oggi c'è il sole, o è una bella serata, pensare un po' di più alle cose di tutti i giorni e rincorrere meno la carota. E d'altra parte a volte è bello avere qualche meta da inseguire, qualcosa per cui valga la pena. Forse il concetto potrebbe essere quello di scendere dal treno che molto spesso ci trasporta, per fare un nostro cammino a piedi: più tranquilli, più in armonia con il mondo, senza rinunciare a qualche meta ma godendoci di più il viaggio... bene sto cominciando a parlare per paragoni come i cinesi quindi per quanto riguarda viaggiare il mio cervello sta viaggiando molto :-). 
 
Ok, cavolate ne ho scritte, e chi lo sa, magari per sbaglio anche qualcosa di interessante. Spero di non essere stato troppo lungo. Gentile lettore, non pensare troppo... e stammi bene! 
 
 
 
Ma non finisce qui: 
- chi è felice o sta bene è difficile da controllare: se a volte ti senti a disagio potrebbe non essere tutta colpa tua... infatti nel mondo di oggi molti hanno da guadagnare inducendo paura... 
- l'inesistenza / irrilevanza della felicità nel pensiero cinese antico 
- la Posta di Paperinik.com: qualcuno ogni tanto mi scrive e quindi nella posta ci sono altri "profondi" pensieri sulla felicità  
 
E mi concedo anche: "Per essere felici bisognerebbe vivere, ma vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste e nulla più" - Oscar Wilde 
 
 
Libri consigliati: 
L’Alchimista - Paulo Coelho (per tutti; non è sulla felicità ma non fa male - letto per la prima volta nel Dicembre 2001 - mi è piaciuto molto)  
Alla ricerca delle coccole perdute - Giulio Cesare Giacobbe (è un libro di psicologia alla buona scritto molto bene, rileggendo ho visto che ci sono piccole parti ogni tanto scritte difficile ma potete saltarle, la prima volta non le avevo proprio lette - letto per la prima volta nel 2007 o 2008, lo trovo fantastico: molte volte la colpa della nostra infelicità o ansia siamo noi, quindi capire meglio noi stessi è fondamentale) 
 
Film:  
Vanilla sky - Cameron Crowe (non lo consiglio ai bambini) 
 
 
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